Michele Carducci, laureato in chimica all'Università di Pisa nel 1833, venne assunto dalla società francese Boissat che gestiva anche le miniere di Valdicastello, per l'assistenza dei minatori e gli fu imposto l'obbligo di trovarsi sempre sul posto nelle ore in cui si brillavano le mine per cui fu obbligato a trasferirsi in paese.
Il 30 Aprile 1834 sempre a Valdicastello si sposò con Ildegonda Celli.
Giosué Alessandro Michele Carducci nacque a Valdicastello il 27 Luglio 1835.
In seguito al fallimento della ditta francese nel 1836, Michele fu licenziato e si trasferì in località Fornetto a Pontestazzemese. Nell'Ottobre del 1838 tutta la famiglia si trasferì altrove.
Giosuè nel 1853, quando viveva a celle, nel Monte Amiata scrive:
Nacqui nel borghetto di Valdicastello di Versilia, poco lontano da Pietrasanta, il 27 luglio del 1835 (l'anno in cui il colera invase l'Italia), primo figlio del Dott. Michele Carducci, pietrasantino, e di Ildegonda Celli, fiorentina.
Mio padre era medico chirurgo di una società francese, che aveva sopra di sè i lavori delle miniere di piombo argentifero, di Valdicastello. Mio padre, rovinata la società, credo che fosse nel 1836, passò a Seravezza, dove, invase allora dal colera Livorno e Pisa, si aveva sospetto ed ivi, in Seravezza fui raggiunto, quando avevo 19 mesi, da un altro fratello, che fu chiamato Dante.
La casa natale è stata dichiarata, con documento regio da Vittorio Emanuele III, monumento nazionale ed è ora proprietà del Comune di Pietrasanta che la ha adibita a museo ed è visitabile. Copia dell'atto regio è esibita all'interno della casa. Nel gardino antistante spicca un busto marmoreo del poeta. L'arredamento è quello autentico.
Il primo Marzo del 1890, Carducci arrivato a Viareggio in compagnia di Annie Vivanti, si fece accompagnare a Valdicastello per vedere la casa dove era nato. Per non farsi riconoscere, parcheggiò la vettura all'ultima curva e proseguì a piedi. Arrivati, insieme alla sua compagna, si misero a leggere l'iscrizione sulla facciata e, stizzito fece notare alla ragazza che avevano sbagliato il cognome della madre, Cheli anzichè Celli. Un passante lo udì e capì quindi di chi si trattava. Allora si diresse subito alla Chiesa parrocchiale per che in quei momenti veniva detta messa, interruppe la funzione religiosa ed avvertì tutti della visita. In un batter d'occhio la notizia si propagò, il campanaro dette mano alle funi con tutta la forza che aveva e tutto il popolo, con a capo l'Assessore Marcucci, andò a fare festa al "suo" Giosuè. Tutto questo mentre il parroco dal suo pulpito invitava i fedeli a rimanere alla messa e a non recarsi dal poeta autore dell' "Inno a Satana". Nel frattempo uno scalpellino mise riparo all'errore e corresse immediatamente l'iscrizione errata.
Questa è la prima versione della famosa poesia:
Pianto antico
L’albero a cui tendevi
La piccoletta mano,
Il verde melograno
Da’ bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l’inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.